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Nuoro NewsnotizieportotorresOpinioniPoliticaUna metamorfosi inaccettabile
Giuseppe Marceddu 16 gennaio 2019
L'opinione di Giuseppe Marceddu
Una metamorfosi inaccettabile


Il cielo è limpido, le stelle sembrano distendersi a poche decine di metri dal suolo, talmente brillano, in quella notte settembrina del '43. Il caporale volge lo sguardo al suo subalterno che lo fissa con aria smarrita. Un fascio di luce squarcia come una lama l'oscurità andando a illuminare i due volti sprofondati nelle giacche della Wehrmacht. «Komm schon...» mormora il caporale mentre si dirige verso il posteriore dell'autocarro. Dall'alto della loro seduta, nel cassone dell'Opel Blitz, osservano le luci del paese allontanarsi. L'angoscia serra le mandibole in una morsa che indolenzisce le tempie.

Sanno che sono diretti a Ottana, che poi raggiungeranno la Corsica, ma non sanno quale sia la loro destinazione finale, non sanno dove dovranno affrontare il loro destino. Hanno paura, sentono che d'ora in poi la loro guerra sarà diversa. Si fissano per un ultimo istante, un istante in cui le loro lucide pupille si dilatano in ricordi isolani. Riaffiorano le immagini di Battistina che coi suoi umili modi porge loro una fetta di formaggio, la figura del giovane Raffaele che mostra loro l'orgoglio di non sbagliare un solo colpo d'ascia su quei solidi ciocchi di legno, il commovente sorriso di Tia Maria che porta loro conforto ricordando il suo primogenito sacrificato ad un'incomprensibile Patria nell'invasione della lontana Albania.

Immagini di paradossale solidarietà. Il caporale distoglie lo sguardo dal compagno, lo volge ancora una volta alle pendici del monte dove nel silenzio ovattato della notte giacciono nel sonno quelle gentili anime sarde. L'ordine è di ritirarsi il più in fretta possibile, si temono gesti di ritorsione dopo l'armistizio del giorno prima. Ripensano a quei due anni trascorsi in paese i due soldati tedeschi, lontano dagli orrori della guerra, protetti da genti sconosciute diventate amiche. Sanno che non ci sarà nessuna ritorsione, sanno di che pasta son fatte quelle genti. «Danke schön» bisbiglia il caporale, e uno singhiozzo soffocato segna indelebilmente il confine dal nuovo mondo che incombe. Due settimane dopo raggiungerà il fronte russo. Dal fronte russo non farà mai più ritorno a casa.

«Tornatevene a casa vostra!» urla un uomo corpulento mentre agita un braccio come se impugnasse un martello. Dal palco il Ministro Salvini osserva la folla in visibilio e con un ultimo picco di voce chiude il comizio: «I porti resteranno chiusi!». La gente urla, le mani si percuotono in un assordante applauso. Un ragazzo dei sobborghi di Dakar taglia la folla come una lametta un foglio di carta. Procede lento col suo carico di mercanzia povera. Senza volerlo urta il corpulento che si volta. Il leghista lo squadra come fosse un alieno, poi sbotta. «Uhheee, negher! Aria che la pacchia è finita!».

La gente intorno ride. Ridono anche i cinque che, tre metri più indietro, osservano la scena. «Bae, bae e cammina...» suggerisce al ragazzo africano uno dei cinque mentre gli altri, stringendo in pugno la bandiera dei quattro mori, riprendono ad applaudire il nuovo idolo sul palco. Rashad si allontana, poi, prima di lasciare la piazza, dà un ultimo sguardo alla folla. Nessuno ride più, nessuno più lo guarda. Sorrisi di volti concentrati sul proprio luminoso futuro. Dove abbiamo smarrito la nostra identità? Quando è successo? Come abbiamo potuto permetterlo? Scovavamo l'umanità fra gli uomini del Terzo Reich e ora, con vigliaccheria assurda, incriminiamo gli ultimi della Terra.

*libero professionista
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